“Il judo costituisce lo studio e l’allenamento del corpo e della mente valido nella regolazione della propria vita. Mi sono convinto che qualunque sia l’obiettivo, la migliore maniera di realizzarlo è attraverso il migliore uso del corpo e della mente al proposito. Come questo principio applicato ai metodi di attacco e difesa costituisce il jujitsu, allo stesso modo applicato alla coltivazione fisica, mentale, morale, come può essere il modo di vivere e di risolvere i problemi, costituisce il judo …
Questo principio della massima efficacia, quando viene applicato al perfezionamento della vita sociale e alla coordinazione del corpo e della mente – nella scienza dell’attacco e della difesa – richiede, in primo luogo, ordine e armonia tra i membri del gruppo, e questo si può raggiungere solo attraverso l’aiuto delle mutue concessioni, ottenendo così il massimo benessere” (Jigoro Kano dalla conferenza tenuta alle olimpiadi di Los Angeles 1932).
Per Jigoro Kano il judo era un principio di vita che avrebbe dovuto influire ad ogni livello sui praticanti influenzando scelte e comportamenti sul tatami, ma soprattutto nella vita.
Qualcuno oggi potrà sorridere, leggendo queste righe del fondatore.
Resta il fatto che l’obiettivo era e rimane altissimo e che per avvicinarsi realmente è necessario, per chi dirigere corsi o associazioni sportive, avere ben presente questo aspetto e cercare di gestire al meglio le varie problematiche che regolarmente si presentano.
Nulla sia acquisisce senza fatica. Nulla si apprende senza regolarità e impegno. Nulla si costruisce se le basi non ci sono e non sono solide. Non vi è alcun futuro se non si condividono obiettivo e metodi.
Oggi, uno dei principali problemi, è il rapporto con i genitori dei praticanti.
Avendo a che fare con bimbi e ragazzi, spesso, chi dirige si trova confrontato a situazioni di tensione che vengono create da chi si aspetta che al proprio figlio riesca subito tutto e che l’associazione e gli insegnanti si accorgano immediatamente di quanto egli è bravo … per alcuni genitori infatti al proprio figlio nulla può essere rinfacciato, il proprio figlio è per definizione il migliore, il proprio figlio non può sbagliare ed a sbagliare sono sempre gli altri (compagni di allenamento, insegnante e dirigenti) …
Confrontati con tali genitori spesso non vi è spazio per “mutue concessioni” auspicate al fondatore; in questo caso la soluzione consiste nel riconoscere semplicemente che l’obiettivo non viene condiviso e che il judo proposto non è per tutti.
Meglio allora prendere atto, con educazione, del fatto che – per lo meno al momento – il bimbo / ragazzo che si è avvicinato al judo non è al posto giusto.
La pratica del judo non è facile ma, una volta che si è compreso e condiviso il senso vero della disciplina, l’obiettivo del fondatore si realizza naturalmente e i principi del judo rimangono, al di là dell’effettiva pratica sul tatami (che comunque costituisce la premessa sulla quale si costruisce), ad accompagnarci nella vita.
Marco Frigerio / Chiasso, 3 dicembre 2017